Ecco come trattiamo i migranti

di Francesca Sironi

Accordi segreti con la Libia, diritti umani violati, barconi respinti senza controllare chi c'é a bordo, nessuna struttura per l'integrazione. Così il nostro Paese si avvicina alla giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno

Stazione di Ventimiglia, ore due di notte. L'atrio si riempie: ragazzi marocchini, tunisini, iracheni, somali. Vengono a dormire qui, perché ci sono luce, amici e un po' meno di umidità. Chissà quanti fra di loro avranno in tasca il permesso di soggiorno come rifugiati politici. Perché non sarebbe strano, anzi: «A Milano ormai sono migliaia - racconta Marica Livio, psicoterapeuta, esperta di etnopsichiatria - gli eritrei che vivono abbandonati negli scali ferroviari, nonostante abbiano ricevuto lo status di rifugiato e la conseguente protezione. Una protezione che rimane sulla carta».
A pochi giorni dalla giornata mondiale del rifugiato, che si celebra ogni anno il 20 giugno, in tutta Italia si preparano iniziative, convegni, feste e momenti di riflessione. Perché l'Italia, nel 2012, è ancora ben lontana dall'essere un Paese dell'accoglienza. Ce lo ha detto l'Europa, con la condanna ufficiale, arrivata lo scorso febbraio, per i respingimenti in Libia nel 2009. E lo ripete in questi giorni Amnesty International, con un durissimo attacco al nostro Paese nel suo ultimo report, "SOS Europe". «L'Italia è sul banco degli imputati - spiega Christine Weise, presidente di Amnesty Italia - per il trattato ancora in piedi fra il nostro Paese e la Libia. Accordi tenuti segreti, che nonostante tutte le denunce portate avanti in questi anni il governo Monti ha scelto di rinnovare, con l'appoggio del nuovo esecutivo libico».

Il contenuto del trattato è segreto, ma l'applicazione è sotto gli occhi di tutti. Migliaia di profughi respinti e trattenuti in centri "d'accoglienza", meglio definibili di concentramento, al confine di Tripoli: «Da quando è scoppiata la rivoluzione - continua la presidente di Amnesty Italia - la situazione è addirittura peggiorata. I libici di pelle scura e gli africani dell'area sub-sahariana sono vittima di persecuzioni e violenze, a causa del pregiudizio comune che essi siano stati mercenari di Gheddafi». Nemmeno l' UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati politici, può fare qualcosa: dal 2010 tutti i suoi servizi d'accoglienza in Libia sono stati bloccati, e non hanno mai ripreso a funzionare. I racconti che arrivano dai campi di Tripoli da coloro che sono riusciti a scappare durante la rivoluzione sono agghiaccianti: sovraffollamento, violenze, arbitrarietà di trattamento e giudizio.

Fra le pratiche italiane più criticate da Amnesty c'è quella della "caccia" ai barconi per respingere i migranti prima ancora che abbiano messo piede sul nostro Paese. Azioni che secondo Amnesty contravvengono la convenzione di Ginevra: «Fra gli obblighi che abbiamo siglato nel 1951 - spiega Christine Weise - c'è quello di non effettuare respingimenti di massa. Deve essere verificata la posizione di ogni persona, perché molti di coloro che cercano di arrivare in Italia rischiano la vita se vengono rimandati nel Paese da cui scappano. E prendere un barcone per mare riportando indietro tutte le persone che vi sono sopra è proprio il contrario di ciò che siamo tenuti a fare per rispettare i diritti dei richiedenti asilo». Su questo argomento, al Ministero degli Interni ci sono solo bocche cucite e la nostra richiesta di intervista è stata rifiutata.

Nonostante il trattato, solo nei mesi dell' "Emergenza Nord Africa", com'è stata ufficializzata nell'aprile scorso la nuova ondata di sbarchi dal Mediterrano, sono arrivati sulle nostre coste 22.216 migranti. A questi andrebbero aggiunti gli oltre duemila che sono morti in mare, secondo i dati raccolti da Fortress Europe. Molti di loro erano già profughi in Libia, scappati dalla guerra o dalle carestie: somali, eritrei, ivoriani, afghani, pakistani e molti altri.

Pubblicato da Lorenzo Bernini



Per loro in Italia esistono tre tipi di permessi di soggiorno, riconosciuti ai rifugiati: l'asilo politico, la protezione sussidiaria e quella umanitaria. «Nel '98, quando è nato il nostro servizio - racconta Dela Ranci, fondatrice di Terrenuove, una cooperativa di Milano che offre agli immigrati consulenza psicologica gratuita - i rifugiati scappavano soprattutto per cause politiche, etniche, religiose. Erano persone più consapevoli, che sapevano di aver pagato con la fuga, e magari con violenze e torture, delle loro scelte di vita. Oggi la maggior parte dei rifugiati che si rivolge a noi è scappata da guerre, carestie, povertà. Sono situazioni collettive, che fanno parte di una storia di popolo, spesso non personale. Soprattutto, sono situazioni che pochi di loro hanno scelto».